PANGRAZZI ARNALDO, Geografia spirituale al tramonto della vita, Edizioni Agami, Cuneo 2018
L’ultima novità che p. Arnaldo Pangrazzi ci offre è un testo che abbraccia l’ultima parte della vita dell’uomo. La prossimità della morte è un tempo a cui sarebbe importante prepararsi riflettendo e meditando sul passato, sulle buone opere compiute e sull’incompiuto; un tempo nel quale il malato potrebbe ancora guardare con sano realismo il suo presente che si affaccia su un breve futuro ancora gravido di potenzialità e di speranza prima della ‘nuova nascita’.
Ma se questo è vero nell’ottica della fede, dal punto di vista umano si rivela essere una strada difficile, impervia, buia, piena di ostacoli e di insidie nella quale ci si può trovare soli perché si è impreparati a ricevere la diagnosi e ad accettare il declino della propria vita e spesso anche i familiari sono smarriti e impreparati. I legami affettivi sono messi a dura prova al pensiero dell’addio, la lotta si fa concitata fino ad arrivare al punto che ogni terapia è inefficace dinanzi all’ingravescente peggiorare che svela tutta la fragilità fisica e psicologica della persona morente.
Lo sguardo dell’autore su tale argomento è ampio e specialistico perché carico di esperienze da lui vissute in molti anni di ascolto, assistenza come cappellano all’estero e poi in Italia, cosa che gli ha permesso di costruire una didattica completa, vivace ed aggiornata, molto apprezzata nei suoi insegnamenti di pastorale della salute, in corsi, seminari e conferenze in tutto il mondo.
Il libro punta molto sulla filosofia degli hospices e delle cure palliative che hanno fatto grandi passi dagli anni ’90 del secolo scorso, affermandosi anche a livello legislativo e di insegnamento universitario.
La prima parte espone il variegato contesto culturale odierno, filtro principale nell’affrontare la morte. La morte è un problema più che un mistero, per cui spesso è rimossa, nascosta, vissuta come un fallimentare scacco o un colpo inopportuno e immeritato; quasi mai accettata come natura, come segno di fragilità umana e di impermanenza su questa terra, con la fede in un Oltre dove ci attende la pienezza dell’Amore. Occorre che le varie agenzie educatrici della società si impegnino ad umanizzare il morire seguendo anche il forte esempio di tre donne apripista: la psichiatra Elisabeth Kubler Ross, Cicely Saunders fondatrice del primo hospice a Londra, il St. Christopher, e Christina Puchalski fondatrice e ancora direttore del George Washington Institute for Spirituality proprio a Washington.
La seconda parte affronta il mosaico della sofferenza attraverso le parole dei malati e mette in luce come ci sia un elemento positivo per il malato grave nel conoscere la diagnosi infausta. Potrà così chiamare a sé i propri cari e condividere la potenza stabilizzante dei ricordi, rendere grazie per quanto ricevuto dalla vita, offrire preziose consegne a chi resta, lasciare una eredità morale ai familiari rendendo il suo morire prezioso per il lutto degli altri se da lui vissuto nella luce spirituale del compimento. Qui ci sono anche utili indicazioni per i curanti che devono comunicare la cattiva notizia al paziente. Infatti i linguaggi usati per comunicare il dolore sono diversi: narrativo, non verbale, metaforico, attraverso il racconto, l’arte, i riti e le preghiere, infine la scrittura. Tante sfumature per esprimere l’intensità di un vissuto faticoso di sofferenza.
La terza parte coglie meravigliosamente le differenze del morire in età diverse: vi è un lutto perinatale per le creature abortite o nate troppo prematuramente per sopravvivere. Esse faranno sempre parte della vita dei loro genitori. Dolorosissimo è seguire un bambino che si ammala di una malattia incurabile: è la sofferenza dell’innocente. Il giovane che muore rappresenta l’interruzione di progetti e potenzialità della vita; eppure spesso i ragazzi manifestano un coraggio speciale nel fronteggiare ed accettare la propria morte. Talora si muore nella pienezza dell’età adulta quando c’è una giovane famiglia e tanti interrogativi angoscianti per il futuro. Infine anche il morire in vecchiaia è pieno di chiaroscuri: si può essere soli o confortati da presenze familiari.
A completamento quindi della ampia panoramica presentata, nell’ultima parte Pangrazzi offre un vero cesello della spiritualità. La chiarezza espositiva si coniuga con i contenuti molteplici e concreti. L’autore diversifica la religiosità dalla spiritualità, sottolineando che l’uomo anche ateo, è per sua natura un essere spirituale, cioè si pone domande sul perché del suo esistere, da dove proviene e dove egli va. L’appartenenza religiosa è una connotazione culturale.
Nell’orizzonte spirituale è importante che il malato possa arricchire il commiato con relazioni significative e nutrendo una serena speranza. A questo contribuirà la presenza di valide figure di accompagnamento, ecclesiastiche o laiche che sappiano fare una diagnosi spirituale del morente per poi guidarlo al meglio nell’ultimo viaggio. A tale scopo, Pangrazzi porta tre possibili proposte di diagnosi spirituale, accurate e circostanziate che saranno quindi traccia molto utile per coloro che si occupano di persone al tramonto della vita.
Tutto il libro è permeato da una sapienza matura che dona molto al lettore che abbia una sua missione di consolatore degli infermi. “La sfida di vivere la morte come un mistero – dice l’autore – richiede lo sviluppo di tre virtù essenziali: la pazienza, la gratitudine e la serenità”. Trovo che ciò sia molto vero perché esse sono, insieme ad un entusiasmo appassionato, anche le virtù che dovremmo coltivare e trasfondere agli altri durante tutta la vita. E questo è davvero vivere fino all’ultimo istante in pienezza!